LA GENTILEZZA

DAI PENSATORI E FILOSOFI DELL’ANTICHITA’ AI GIORNI NOSTRI

a cura di Anna Montella

Sotto il termine gentilezza (dal latino gentilis «di buona stirpe») vengono raggruppati una serie di sentimenti “nobili” quali solidarietà, generosità, altruismo, abnegazione, compassione, empatia. Per gli antichi greci questi sentimenti erano noti con il termine philantropia (dal greco antico: φιλία, philía, «amicizia» e ἄνθρωπος, ànthrōpos, «uomo»), ovvero quell’atteggiamento di benevolenza che, nella cultura antica romana, viene definito come «voluntate benefica benevolentia movetur» (la benevolenza è messa in moto da una volontà che mira al bene). Per gli antichi romani l’ideale di gentilezza era racchiuso nell’humanitas (valore etico che si riconosce nelle azioni rivolte alla cura reciproca tra gli esseri umani, anche se sconosciuti gli uni agli altri) e  che tendeva ad ampliare il concetto di pietas (senso di amore verso i membri della stessa famiglia o di devozione verso gli dei).

 

Pensatori e filosofi dell’antichità hanno sempre esaltato sentimenti come l’amicizia, la generosità e la gentilezza d’animo.

Da Seneca “Ovunque ci sia un essere umano, vi è possibilità di gentilezza” a Cicerone, per il quale non c’era dovere più indispensabile del “restituire una gentilezza”, da Esopo “Nessun atto di gentilezza, per piccolo che sia, è mai sprecato” all’imperatore e filosofo Marco Aurelio che affermava “La gentilezza è la delizia più grande dell’umanità”. Vissuto tra il 121 e il 180 d.C. viene ricordato  dalla storiografia tradizionale come un sovrano illuminato. Nella sua filosofia esistenziale l’atto gentile non doveva, però, cercare fama o ricompensa alcuna  né essere turbato da interessi personali, passioni e collera.

Le correnti letterarie e di pensiero politico, sociale, filosofico e culturale che si sono succedute attraverso i secoli hanno influenzato le varie epoche recando con sé le tematiche e le contraddizioni proprie del loro tempo.

Come tutte le realtà anche la gentilezza risulta variabile e fortemente condizionata dal contesto culturale e dalla situazione economica, sociale e storica nella quale si colloca.

In Occidente, per esempio, la tradizione cristiana delle origini metteva i buoni sentimenti alla base di una visione dell’uomo che agisce guidato dalla Fede e dall’amore verso il prossimo, una visione che si concretizza, per i cristiani, nella figura/emblema del “buon samaritano”. Questa concezione subì un drastico mutamento quando la confessione cristiana, divenuta religione di stato dell’Impero romano, portò a conquiste e persecuzioni per imporre la religione ai pagani. I secoli bui del Medioevo produssero, così, un imbarbarimento sociale e una forte regressione culturale.

Nel XX secolo, dopo gli orrori delle due guerre mondiali, il desiderio più grande nel secondo dopoguerra è quello di rimediare alle ingiustizie ereditate dal passato ed è tutto un fiorire di proteste e di lotte per poi, dagli anni Ottanta, trovarsi a fare i conti con l’attuale sistema economico, politico e culturale, fondato sulla ricerca del benessere personale e sull’individualismo che sfocia inevitabilmente nella disgregazione della società: l’altro viene visto come un rivale, un antagonista da cui difendersi. Per dirla con Thomas Hobbes, filosofo e matematico britannico, ai nostri giorni la condizione umana si potrebbe riassumere nel concetto di bellum omnium contra omnes, ovvero di guerra tutti contro tutti. (1651 – “Il Leviatano, o la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile”).

 Per fortuna la necessità di sperare in un mondo migliore è sentita ogni giorno di più e a più livelli ci si adopera per promuovere il ritorno alla gentilezza e ai sentimenti “nobili” attraverso eventi ed iniziative che vanno a coinvolgere le piccole comunità come i grandi gruppi e movimenti. Sinergia e cooperazione per il raggiungimento di un obiettivo comune.

Non c’è nulla di immutabile, tranne l’esigenza di cambiare” (Eraclito)