Perché una giornata mondiale sulla gentilezza?
di Anna Montella

 

L’idea di celebrare ai giorni nostri la Giornata Mondiale della Gentilezza è nata in Giappone circa un quarto di secolo fa quando, il 13 novembre del 1997, si svolse a Tokyo la Conferenza del World Kindness Movement che si chiuse con la firma della Dichiarazione della Gentilezza. Secondo diverse fonti, tuttavia, le sue radici risalirebbero a molti anni prima. Pare infatti che  la sua storia abbia avuto origine dalle parole pronunciate nel marzo 1963 da Seiji Kaya, all’epoca presidente dell’Università di Tokyo, durante il suo discorso di commiato agli studenti nel giorno della laurea. “Voglio che tutti voi siate coraggiosi nel praticare la ‘piccola gentilezza’, creando così un’ondata di gentilezza che un giorno investirà tutta la società giapponese”.

Una “ondata” che dagli anni ‘60 ad oggi ha acquistato vigore ed è cresciuta andando a coinvolgere più nazioni che hanno aderito al Movimento e  che, a cadenza periodica, si riuniscono per pianificare progetti di mutuo sostegno, condivisione e sviluppo sostenibile. La costola italiana è nata nel 2000.

L’intento non è né moralistico né edificante, l’obiettivo è guardare oltre…

Oltre il sé, oltre i confini geografici, culturali e religiosi, abbattendo le barriere per vivere tutti in un mondo migliore armonizzando l’Io ed il Tu nel NOI. Un oltre che abbraccia l’intero pianeta evitando lo sfruttamento e l’inquinamento dell’ambiente e ogni sorta di sofferenza agli animali.

Spesso, in un mondo ferocemente individualista come quello in cui viviamo, si fa l’errore di considerare la gentilezza qualcosa di innaturale, in evidente contrasto con l’egoismo egocentrico dell’individuo. Secondo le neuroscienze sono, invece, i neuroni specchio (scoperti nel 1992 a Parma dal Professor Giacomo Rizzolatti e il suo team di ricercatori) che veicolano i messaggi dall’esterno e sono alla base del comportamento sociale degli individui determinandone anche gli stati d’animo. La gentilezza innesca, così, una sorta di effetto domino. Se ci si trova di fronte ad una persona che sorride, i neuroni specchio spingeranno l’individuo ad imitare questo tipo di comportamento. E questo avverrebbe, dunque, in maniera assolutamente  naturale.

Molti sono, altresì,  propensi a ravvisare nella gentilezza una forma di debolezza sociale e/o caratteriale ma, al contrario, è proprio l’individuo forte, che ha raggiunto un proprio equilibrio interiore, a non avere alcun bisogno di imporsi con la sopraffazione. Respinge l’idea della competizione perché non ha nulla da dimostrare e non ha bisogno di prevaricare alcuno affinché il suo valore venga riconosciuto.

Sa di essere, non ha bisogno di apparire.

Non a caso la gentilezza disinteressata, come l’umiltà, è prerogativa dei “Grandi” che sono sempre al di sopra delle mediocrità e delle piccole meschinità.

Tra l’altro, secondo diversi studi scientifici, le persone gentili che coltivano l’empatia e il sorriso producono il 23% in meno di cortisolo, l’ormone dello stress e, per contro, i livelli di dopamina (il ‘messaggero’ della felicità, dell’appagamento e della soddisfazione), endorfine e serotonina (implicata nei processi regolativi dell’umore) aumentano nel cervello generando una gradevole sensazione di benessere. Il calore emotivo provocato dalla gentilezza incentiva, poi,  la produzione di ossitocina che combatte i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento. Una ricerca della University of British Columbia ha riscontrato, altresì, che compiere atti di gentilezza aiuta ad abbassare i livelli di ansia e di fobia sociale.

Pertanto coltivare la gentilezza, un valore sommesso e discreto, collante sociale sin dagli albori della civiltà, risulta essere in primis un atto d’amore verso se stessi.

Non mancare alle tre giornate dedicate alla Gentilezza  26,27 e 28 Febbraio